L’Accademia di Francia a Roma, voluta
da Luigi XIV perché gli artisti francesi potessero formarsi
con lo studio delle antichità e della grande pittura italiana,
s’insedia nel 1725 nel prestigioso Palazzo Mancini sul Corso,
potenziando la sua attività sotto direttori intraprendenti,
primi fra tutti i pittori Wleughels e Poerson. Per le sue sale transitarono
per tutto il secolo generazioni di artisti destinati a grande successo
dopo il ritorno in patria. Il prestigio dei rappresentanti a Roma
della corte di Francia, primo fra tutti il brillante e fastoso cardinal
De Polignac, assicurava all’istituzione visibilità e
fama.
Corrado Giaquinto
Partenza di Enea
da Cartagine
Enea sacrifica
ad Apollo
I due dipinti appartengono a una serie
di sei tele con Storie di Enea, realizzate da Corrado Giaquinto per
una residenza sabauda e trasferite a Roma nel novembre del 1893 per
arredare gli appartamenti del Quirinale. L’eleganza arcadica
che si respira nelle due tele trasforma l’evento epico: Enea
non ha più nulla della sua antica origine eroica. Nella Partenza
di Enea da Cartagine la conversazione diventa metafora del vivere
civile. L’artista, infatti, non sceglie di rappresentare il
momento di massima tensione drammatica dell’addio tra Didone
e l’amato eroe troiano: la disperazione della regina fenicia
è totalmente sfumata nella commozione patetica delle parole
riferite da sua sorella Anna, incaricata di raggiungere Enea sulla
marina per supplicarlo di rimandare la partenza. Un sentimento di
tenerezza domina il quadro e si rivela tanto nell’espressione
pacata della fanciulla, quanto nell’atteggiamento di Enea che,
con la mano al petto e il busto dolcemente piegato in avanti, sembra
fare un ultimo inchino galante mentre indica le navi già pronte
a salpare.
La stessa atmosfera garbata si respira anche nella tela con Enea che
sacrifica ad Apollo, dov’è protagonista la pietas dell’eroe.
Approdato a Cuma, Enea sale subito al tempio di Apollo trasformato
in un’imponente quinta teatrale dall’esuberante drappo
violaceo che avvolge le colonne del podio e che, trattenuto da Deífobe,
svela la statua del dio. La sibilla cumana ordina il sacrificio. L’immagine
si sviluppa lungo una linea diagonale, enfatizzata dal gesto delle
braccia aperte dell’eroe, per giungere al nerboruto schiavo
in primo piano, che trattiene la giovenca pronta per essere immolata
e quasi contrasta con le figure delicate dei soldati troiani e con
l’incedere instabile di Enea inginocchiato sugli ampi gradini
della scalinata.
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Intagliatore
romano
Culla
Questo elegante mobile da parata è
stato commissionato per una famiglia il cui stemma, non identificato,
compare sulla traversa. A Roma il cerimoniale barocco prescriveva
che, a quaranta giorni dalla nascita di un piccolo principe, la puerpera
ricevesse l’omaggio del Sacro Collegio cardinalizio, delle principesse
e delle altre nobildonne giacendo in un letto da parata, che poteva
essere scolpito in forme anche particolarmente fantasiose. Per il
loro ingombro, letti di questo genere non sono giunti fino a noi;
si sono salvate però alcune culle, grazie al fatto che spesso
sono state usate come fioriere. Quella in esame si distingue perché
l’impianto chiaramente da parata si accompagna a un tono relativamente
poco formale, evidente nel gesto del puttino che richiama al silenzio,
e nel sensuale arcuarsi della figura femminile.